Legionario del Battaglione M dalla copertina della rivista Signal.

Il Btg. IX Settembre - La prima vera unità dell’esercito della Repubblica Sociale Italiana
di Massimiliano Afiero

Introduzione
Formato a Tolone nel settembre del 1943 subito dopo l’8 settembre, il I° Battaglione Camicie Nere IX Settembre, può essere considerata la prima vera unità dell’esercito della Repubblica Sociale Italiana.
A testimonianza di questa primogenitura valgono le parole del Duce in visita al battaglione il 14 agosto 1944: “Il Battaglione IX Settembre è da considerarsi il padre del nuovo esercito repubblicano perché mai voi scioglieste le file, mai deponeste le armi. Se tutti i soldati d’Italia l’8 settembre avessero imitato il vostro esempio, l’Italia non si troverebbe in così tristi e misere condizioni”.

Formazione
L’unità trasse origine dal Gruppo Battaglioni da sbarco agli ordini del Console Santi Quasimodo, dislocato presso la base navale di La Seyne a Tolone in Francia, impegnato nella difesa costiera. Il Gruppo comprendeva il XLII Battaglione da sbarco CC.NN. Vicenza ed il L Btg.Treviso.
Il 26 luglio, appena giunta alla base la notizia della caduta di Mussolini, il comandante della 3a Compagnia del L Battaglione, Capitano Adalberto Zardo, riunì i suoi uomini per metterli al corrente della situazione, sospendendo tutte le licenze.
Il giorno dopo, i Tenenti Colacino e Valent della stessa compagnia andarono a conferire con l’Ammiraglio Scheer, comandante tedesco della piazza di Tolone, rassicurarlo circa la loro fedeltà e quella dei loro uomini all’alleato tedesco.
In attesa di ricevere notizie ed ordini più precisi sul da farsi, vennero tentati contatti anche con i gerarchi fascisti riparati in Germania dopo il 25 luglio, dove si diceva si stesse formando un nuovo governo italiano fascista. Verso la metà di agosto, giunse l’ordine di sostituire le mostrine: le stellette al posto delle M rosse con i fasci. Il fez doveva essere sostituito dalla bustina regolamentare del regio esercito, la camicia nera con la camicia grigioverde. Non tutti i legionari gradirono le modifiche all’uniforme, anzi molti continuarono a portare sull’uniforme le M rosse, in segno di fedeltà al Duce Benito Mussolini.
La sera dell’8 settembre, dopo la diffusione del radiomessaggio di Badoglio che annunciava l’armistizio con gli alleati, tutta la 3a Compagnia del Capitano Zardo manifestò subito la volontà di continuare a combattere al fianco dell’alleato germanico.
L’esempio della 3a Compagnia, convinse il comandante Volpe del L Battaglione a convocare una riunione di tutti gli ufficiali: bisognava decidere se continuare la guerra con i Tedeschi o arrendersi a loro.
La decisione non fu unanime, molti scelsero di darsi prigionieri, come il Capitano Dario Larcher della 2a compagnia: il proclama di Badoglio, venne percepito dai molti come la fine delle ostilità, dimenticando che c’era una guerra mondiale in corso che si stava combattendo al fianco di un alleato che non poteva diventare da un giorno all’altro il nuovo nemico.
Durante la notte, gli uomini della 3a Compagnia insieme con i Tedeschi circondarono gli alloggi dei “badogliani”, procedendo al loro disarmo.

La difficile scelta
La mattina del 9 settembre, il Capitano Zardo radunò i suoi uomini nella caserma della marina francese di Saint-Mandrier: il comandante venne subito al dunque; i suoi legionari dovevano decidere se restare a combattere o finire prigionieri in Germania. Circa 400 uomini scelsero di restare con Zardo, ricevendo di nuovo le armi; gli altri furono concentrati nella cittadina in attesa del trasferimento in Germania. L’11 settembre, la Compagnia Zardo venne messa a disposizione del 2° Reggimento della Divisione tedesca Brandenburg, stabilendo il suo comando al Casinò des Sablettes. Il giorno dopo si unirono alla compagnia “ribelle” altri soldati della Compagnia Servizi del Gruppo Battaglioni da sbarco e del XLII Battaglione.
Nella notte tra il 12 ed il 13 giunse la notizia della liberazione del Duce da parte dei paracadutisti tedeschi. L’evento fece accorrere altri numerosi volontari, rendendo necessario il trasferimento dei reparti in una caserma più grande: quella del Battaglione Coorte del Reggimento San Marco. Qui vennero anche sequestrati numerosi automezzi del San Marco, così come vennero reclutati nuovi volontari dello stesso Reggimento. Il 20 settembre, la Compagnia ad effettivi ingrossati (circa 600 uomini) venne trasferita nella caserma di Forte Cap Brun abbandonata dalla Regia Marina dopo l’8 settembre. Gli altri soldati ed ufficiali che avevano scelto di continuare a combattere al fianco dei Tedeschi restarono a Tolone per essere assegnati ad altri reparti in formazione. Il 23 settembre il Generale von Phulstein, comandante della Divisione Brandenburg, passò in rassegna la Compagnia Zardo; nell’occasione il comandante tedesco comunicò ai soldati italiani il loro inquadramento nella divisione ed il loro futuro impiego come reparto di sicurezza. Malgrado l’appartenenza ad un reparto germanico, i volontari italiani ottennero di poter continuare ad indossare la camicia nera e l’uniforme italiana. L’unica imposizione da parte del Comando Germanico fu l’aquila tedesca sul taschino destro dell’uniforme.

Ritorno in Italia
Il 30 settembre, dopo una settimana di intenso addestramento insieme ad altri reparti tedeschi e dopo aver giurato fedeltà ad Adolf Hitler, ricevette l’ordine di trasferimento in Italia al seguito del Bansen Battalion del 2° Reggimento della Divisione Brandenburgo.
All’unità venne aggregato un ufficiale di collegamento, un interprete ed un sottufficiale addetto alla contabilità. Il 12 ottobre, dopo un movimentato viaggio in treno, la compagnia giunse a Teramo, destinazione rimasta sconosciuta fino all’ultimo momento. La truppa venne sistemata prima nell’edificio della GIL e poi presso l’Istituto Magistrale “Milli”. Nella zona di Teramo erano attive numerose bande partigiane, che avevano accolto nelle proprie file numerosi ex-prigionieri anglo-americani e slavi, fuggiti dopo l’8 settembre. Prima di iniziare l’attività operativa fu necessario attivare una campagna arruolamenti per riorganizzare i reparti. L’unità di Zardo, appena giunta in Italia, aveva perduto numerosi effettivi trasferiti ad altri reparti dell’esercito repubblicano. Malgrado l’azione di propaganda dei partigiani contraria, che incitava chiunque ad abbandonare la divisa e a darsi alla macchia, accorsero numerosi volontari provenienti da tutto l’Abruzzo. L’afflusso di questi nuovi volontari portò alla trasformazione dell’unità in Battaglione; a dicembre infatti l’unità assunse la denominazione di Battaglione M Zardo. Qualche mese più tardi, l’unità divenne ufficialmente il Battaglione IX Settembre, a testimoniare la rinascita dell’onore militare italiano dopo la firma dell’armistizio badogliano.

Prime operazioni
I reparti del Battaglione vennero impegnati in azioni di rastrellamento in tutta l’area, nella ricerca degli ex-prigionieri alleati fuggiti dai campi e nella prevenzione di attentati partigiani lungo la Statale 80. Al Battaglione Zardo venne assegnato anche il compito di sorvegliare la costa adriatica da San Benedetto fino a Roseto degli Abruzzi. Le incursioni aeree alleate sull’area di Teramo, fecero registrare le prime vittime del Battaglione.

Composizione Reparto
(circa 300 uomini)
Gruppo Comando
(Centurione Adalberto Zardo)
1a Compagnia
(Capo Manipolo Vincenzo Colacino)
3 plotoni fucilieri
1 plotone mortaisti e mitraglieri
2a Compagnia
(Capo Manipolo Valent)
3 plotoni fucilieri

Nella primavera del ‘44, il Battaglione venne strutturato sul modello dei Battaglioni da sbarco, su tre compagnie (ciascuna composta da circa 100 uomini) ognuna delle quali articolata su un plotone comando e tre plotoni; completava l’unità un Gruppo Servizi Speciali agli ordini del Capitano Pellizzari. Valent sostituì il comandante Zardo nel marzo del ‘44, chiamato a reggere la Questura di Teramo. Il Tenente Grassano assunse il comando della 2a compagnia.

Armi e uniformi
Come accadde per tutte le unità dell’esercito della Repubblica Sociale Italiana, anche l’equipaggiamento del IX Settembre fu assai eterogeneo.
Inizialmente i legionari continuarono ad indossare l’uniforme in panno grigio-verde dell’ex-regio esercito, poi vennero via via utilizzate le uniformi mimetiche. Per il Battaglione venne creata un’apposita fascia modello germanico, con la scritta “BTG. IX SETTEMBRE”, bordata con stoffa tricolore, da apporre tra il primo ed il secondo bottone della giubba.
Le mostrine erano costituite dalle fiamme nere a due punte della GNR; a differenza della Guardia Nazionale Repubblicana, i militi del IX Settembre non portarono mai le doppie M o il gladio; al loro posto sui baveri restò la M rossa smaltata, già dei Battaglioni da sbarco.
Per quanto riguarda l’armamento, ai soldati vennero distribuiti moschetti Beretta 1938 e Mauser 7,60. Alle compagnie pesanti vennero consegnate mitragliatrici Breda 30, Mg42 tedesche e mortai da 45mm e 81mm. Abbastanza soddisfacente fu la motorizzazione del reparto, con numerosi automezzi e qualche autoblindo SPA.

Operazioni all’isola d’Elba
Il 17 settembre l’isola presidiata da circa 10.000 soldati italiani, era stata attaccata e conquistata dai reparti tedeschi. Il 27 ottobre un Gruppo Tattico del Battaglione IX settembre, agli ordini del Tenente Furlani, venne destinato all’isola per essere impegnato in azioni di rastrellamento.
Nell’occasione vennero recuperate moltissime armi, munizioni ed equipaggiamento delle unità sbandate del Regio Esercito, così come molti soldati sbandati aderirono alle forze armate della RSI. Il Gruppo tattico fece ritorno a Teramo il 14 gennaio 1944.

Civitella - Roveto
Un altro gruppo tattico, formato dal 3° plotone agli ordini del Tenente Longiarù, il 2 novembre lasciò Teramo per dirigersi a Civitella Roveto in provincia dell’Aquila con il compito di rendere sicura la strada per Sora dagli attacchi e dai sabotaggi dei partigiani. L’area infatti rappresentava un’importante linea di comunicazione per il trasferimento delle truppe e dei materiali destinati alla linea Gustav. Dopo aver effettuato diversi rastrellamenti e catturato numerosi ribelli, il 10 gennaio 1944 il reparto rientrà a Teramo ricongiungendosi al Battaglione.

Fronte di Anzio
Il 22 gennaio 1944, gli anglo-americani sbarcarono tra Anzio e Nettuno alle spalle della linea Gustav, allo scopo di aggirare i Colli Albani e chiudere in una sacca le forze tedesche che combattevano a Cassino.
Per fronteggiare i tedeschi inviarono nell’area dello sbarco tutte le forze disponibili, compresi i reparti della Repubblica Sociale Italiana. Tra essi anche il Battaglione M IX Settembre, che ricevette l’ordine di trasferimento in zona di operazioni nella stessa giornata dello sbarco.
Solo un piccolo gruppo di legionari rimase a Teramo per collaborare al mantenimento dell’ordine pubblico e prevenire eventuali colpi di mano da parte dei ribelli. Il grosso del Battaglione agli ordini del comandante Zardo partì la mattina del 23 giungendo a Velletri il mattino del 24: la sera stessa elementi una compagnia venne spostata a Campo di Carne ed un’altra nell’area tra Ferriere, Bosco di Nettuno e Trecancelli. I legionari vennero impegnati in azioni di pattugliamento e nella costruzione delle postazioni difensive. Un reparto del Battaglione, agli ordini di Zardo, venne trasferito ad Anzio in prima linea per contenere l’avanzata delle truppe alleate. I volontari italiani si scontrarono diverse volte con i reparti Anglo-americani, battendosi valorosamente. Il 28 gennaio il reparto mortaisti agli ordini del Tenente Longiaru, venne a contatto con una grossa formazione nemica in movimento: Longiaru ordinò ai suoi uomini di fare fuoco concentrandosi sulla testa e la coda della colonna. Colti di sorpresa e sottoposti ad un serrato fuoco proveniente da diverse direzioni, gli americani, credendo di essere completamente accerchiati, si arresero in blocco. Terminate le due settimane di impiego sul fronte di Anzio e Nettuno, la sera del 5 febbraio una parte del Battaglione Zardo fece ritorno a Teramo, mentre l’altra venne trasferita a Montesilvano.

Fronte di Ortona
Il trasferimento dei reparti del Battaglione nell’immediato retrofronte di Ortona si era reso necessario per l’avvicendamento sulla linea del fronte delle unità germaniche, la maggior parte delle quali erano state trasferite sul fronte laziale.
Qui i legionari vennero impegnati contro le formazioni partigiane fino alla fine di febbraio, in particolare contro la banda Radovic, che si era distinta in gravi e gratuiti omicidi ai danni della popolazione civile. Alcuni elementi del Battaglione vennero inviati a sorvegliare il retrofronte tra Pescara e Montesilvano.
Nella serata del 20 febbraio una parte del reparto di stanza a Montesilvano venne trasferita in prima linea al Foro di Ortona: il gruppo venne dislocato sulle colline a ridosso della città portuale, tra Miglianico e Tollo. I legionari sventarono una missione di un commando di sabotatori inglesi, facendoli tutti prigionieri.
Terminate le operazioni sul fronte di Ortona, i reparti del IX Settembre iniziarono a ripiegare verso nord. Prima del trasferimento nella provincia di Macerata il Battaglione venne formalmente sganciato dalla Divisione Brandenburg ed inserito ufficialmente nell’Esercito Repubblicano della RSI con la denominazione di “I° Battaglione M Camicie Nere IX Settembre”. In seguito alla nomina di Zardo a reggente della Questura di Teramo, il Battaglione passò agli ordini del Tenente Valent.

Operazioni nelle Marche
La situazione nelle Marche si presentava ancora più grave di quella nel Teramese: nell’area agivano numerose formazioni ribelli ben armate e molto agguerrite. Dopo alcuni attacchi partigiani, venne deciso di rinforzare maggiormente i presidi locali e di eseguire azioni di rastrellamento: i reparti del Battaglione effettuarono le azioni insieme al Kampfgruppe Hettinger del 3° Reggimento della Brandenburg. Il Tenente Valent fissò la sede del Comando a Camerino, dove si insediarono anche la compagnia del Tenente Colacino e i mortaisti del Sottotenente Bruno di Marzio. Dal 9 aprile il Comando del Battaglione si trasferì a Marino del Tronto mentre la compagnia Colacino divise i suoi reparti tra Amandola, Comunanza, Castelraimondo e Camerino. Le altre due compagnie, agli ordini dei tenenti Grassano e Longiaru, si distribuirono tra Muccia, Sforzacosta, Fabriano e Matelica.
Con l’appoggio della Guardia Nazionale Repubblicana di Ascoli e di Macerata, iniziò una vasta operazione antiguerriglia lungo tutta la dorsale appenninica Umbro-Marchigiana. A partire dal 3 marzo iniziarono i rastrellamenti prima ad Amandola, poi a Rovetino, Castel Croce, Montemonaco e Sarnano. Le operazioni contro i ribelli durarono fino alla fine di marzo: i legionari si scontrarono con elementi delle bande Paolini, Bianco, 1° Maggio e Gruik. All’inizio di aprile i reparti del IX Settembre ritornarono nel Teramese: alcuni gruppi operativi restarono come forza di presidio in vari centri tra le Marche e l’Abruzzo. Verso la metà dello stesso mese, una parte del Battaglione venne impegnata ancora sul fronte di Ortona per proteggere la ritirata delle unità tedesche da eventuali attacchi dei ribelli. Con l’intensificarsi dell’attività partigiana nel Maceratese, il Battaglione venne all’inizio di maggio trasferito ancora in zona: il I° Plotone ed il V° Plotone mitraglieri si sistemarono a Sarnano insieme ad un reparto tedesco. Gli altri reparti si sistemarono a Matelica e Comunanza mentre il Plotone Comando era sempre a Marino del Tronto. Le operazioni contro i ribelli iniziarono dal 5 maggio sempre contrassegnate da rastrellamenti tra le montagne tra Podalla e Monastero. Si verificarono numerose imboscate da parte dei partigiani durante le quali caddero numerosi legionari: da parte del IX Settembre non vennero mai effettuate per ritorsione rappresaglie contro la popolazione civile.

L’assalto dei ribelli a Sarnano
Constatata la tenacia e l’efficienza dei legionari del IX Settembre, i capi partigiani locali progettarono un colpo di mano contro l’unità per poterla annientare o almeno indurla ad effettuare rappresaglie contro i civili. L’attacco a sorpresa da parte dei ribelli venne portato contro il presidio del Battaglione a Sarnano: una cinquantina di partigiani del Gruppo Niccolò ed altrettanti del Gruppo di Piobbico guidati dallo slavo Janko Kiklovac, il coordinatore dell’intera operazione. I partigiani attaccarono all’alba del 31 maggio cogliendo di sorpresa il plotone fucilieri guidato dal Maresciallo Giuseppe Panzolato mentre si recava al poligono di tiro per le esercitazioni. Quasi tutti i legionari caddero sotto il fuoco dei ribelli. Altri partigiani nel frattempo assalirono gli edifici nel paese dove c’erano i legionari del plotone mortaisti. Sentiti gli spari, scattò l’allarme: tutti i legionari presero le armi per rispondere al fuoco nemico. Uno dei primi fu il legionario Dazzani, di soli 17 anni: con il suo mortaio da 45mm insieme alla mitragliatrice del legionario Di Martino si riuscì a mettere in fuga i ribelli. I partigiani lamentarono solo tre caduti, mentre il Battaglione aveva lasciato sul terreno ben 23 uomini tra morti e feriti. Giunsero sul posto poco dopo reparti tedeschi: alla vista dei legionari caduti i germanici pianificarono subito una rappresaglia contro l’abitato di Sarnano. Vennero prelevate dalle case numerose persone, ma i legionari italiani si opposero fermamente alla ritorsione contro gli inermi civili. Il tentativo partigiano di aizzare i tedeschi contro la popolazione locale alfine di instaurare un clima di odio e di terrore, non sortì alcun effetto. Al Battaglione italiano vennero concesse numerose decorazioni al valore ed alla memoria.

Ritirata in Romagna
Con gli Alleati che risalivano lungo la penisola dopo il crollo del fronte di Cassino, tutte le formazioni italiane e tedesche iniziarono a ritirarsi verso il nord Italia. A partire dal 13 giugno anche i legionari del IX Settembre ripiegarono marciando di notte, per evitare i bombardamenti alleati e le imboscate dei partigiani, utilizzando mezzi di fortuna. Durante la ritirata il Battaglione continuò a subire attacchi da parte delle forze ribelli, lamentando altri caduti e feriti. Verso la fine di Giugno i legionari stazionarono a Pesaro per alcuni giorni per raggruppare tutti i reparti. Qui giunse poco dopo l’ordine di trasferimento a Castrocaro. In questa cittadina, l’11 agosto i legionari ricevettero la visita del Duce, nel suo giro di ispezione dei reparti italiani impegnati sul fronte appenninico e adriatico. Approfittando della visita del Duce, i legionari chiesero a viva voce di poter essere impegnati in prima linea contro le forze alleate e non più contro i ribelli. Nelle settimane successive i legionari continuarono invece ad essere impegnati nell’area di Castrocaro contro i partigiani, in particolare contro la banda Corbari.

Trasferimento in Val d’Aosta
Eliminata la banda Corbari dopo una serie di sanguinosi scontri, il 20 settembre 1944 il Battaglione venne trasferito in Val D’Aosta. In seguito allo sbarco alleato in Provenza (Operazione Anvil) tutto il fronte occidentale italiano a ridosso del confine francese si ritrovò minacciato. Inoltre nell’area erano attive numerose formazioni partigiane, la cui attività si era intensificata proprio negli ultimi mesi. L’area era diventata di vitale importanza come zona di transito per le truppe tedesche in ritirata dalla Francia: la regione andava saldamente controllata soprattutto nella zona dei valichi facilmente sensibili a possibili attacchi e sabotaggi da parte dei partigiani. Nel settore delle Alpi occidentali era schierato il LXXV Korps del Generale Hans Schlemmer comprendente la Divisione Littorio, il Reggimento Folgore, il Battaglione Moschettieri delle Alpi, il Battaglione IX Settembre ed altri reparti italiani e tedeschi. La Valle d’Aosta era presidiata in particolare dalla 5. Gebirgsjaeger (Cacciatori da montagna) Division del Generale Schrank, che ebbe alle sue dipendenze anche il Battaglione IX Settembre.
Dopo un fortunoso viaggio contrassegnato dai continui bombardamenti alleati, i reparti del Battaglione giunsero nella regione all’inizio di settembre. Dal 2 settembre i legionari a piccoli gruppi iniziarono a schierarsi tra il Piccolo San Bernardo e la città di Aosta, per proteggere i valichi e i passi montani dalle incursioni partigiane. Il comando del battaglione si insediò a Villanova Baltea, insieme al plotone fucilieri del Maresciallo Da Riva con una squadra mitraglieri ed una mortaisti. Altri reparti vennero distaccati ad Arvier, Leverogne, Runaz, Planaval e St.Pierre. Un distaccamento di mortaisti agli ordini del Sergente Acciaro venne inviato a La Thuile. La prima operazione che vide impegnati i legionari si verificò l’11 settembre, durante l’attacco alla Valgrisenche insieme a reparti germanici. Le operazioni di rastrellamento nell’area durarono fino alla fine del mese concludendosi con un completo successo come testimoniato dall’elogio fatto ai legionari del IX Settembre nell’ordine del giorno del 7 Ottobre redatto dal Colonello Schwehr comandante del 296° Reggimento della 5a Divisione alpina tedesca. Con altre operazioni antiguerriglia che videro ancora impegnato il Battaglione italiano, le forze italo-tedesche ripresero completamente il controllo della Valsavarenche e della Valtournenche, eliminando la maggior parte delle formazioni ribelli. Altra operazione degna di nota fu l’offensiva su Cogne, un’area fortemente presidiata dai partigiani fin dal luglio del ‘44. Tra il 31 Ottobre ed il 1 novembre il Battaglione IX Settembre insieme a reparti tedeschi attaccarono la zona liberando la Val di Cogne e la Valsavarenche dalle bande partigiane costringendo i ribelli a riparare in Francia. Vennero catturati nell’azione numerosi partigiani ed un gran quantitativo di armi e munizioni forniti dagli alleati. Il Battaglione M lamentò tre caduti ed una decina di feriti.

Fronte dell’est
Alla fine del novembre del 1944, il Battaglione, passato temporaneamente agli ordini del Tenente Grassano, ricevette l’ordine di trasferimento in Prussia orientale, nella zona dei Laghi Masuri dove erano dislocati i reparti della Divisione tedesca Brandenburg. L’unità italiana era ancora aggregata formalmente a quella divisione e dovette quindi seguirla anche sul fronte dell’est. Dopo un viaggio in treno durato ben 25 giorni, i legionari giunsero ad Angerburg (l’odierna Wegorzewo) sul lago Mauer (oggi Mamry). Il Battaglione contribuì alla difesa della città, importante nodo ferroviario nella regione, contro i reiterati assalti dell’Armata Rossa.
Dopo un rapido addestramento all’uso dei Panzerfaust ed alle nuove tecniche anticarro, i legionari italiano furono impegnati contro le formazioni corazzate sovietiche coprendosi di gloria. Quando la situazione divenne grave, il Tenente Grassano chiese il distacco del Battaglione dalla Brandenburg e l’autorizzazione al rientro in Italia. Il Colonello Schulte-Herthaus, comandante della Brandenburg scrisse nel suo rapporto: “Il Battaglione M IX Settembre si è brillantemente distinto durante il periodo di appartenenza alla divisione su tutti i fronti, dove si è sempre battuto con estremo coraggio, dimostrando la rinata fraternità d’armi con il Terzo Reich”. Anche dal comandante tedesco della piazza di Angerburg, il Maggiore Jahmann giunsero parole di encomio: “Attesto che il IX Settembre nei circoli militari competenti di questa piazza è stato segnalato come la migliore unità italiana”. Il 4 gennaio 1945, il Colonello Schulte-Herthaus, vista l’impossibilità di continuare a difendere l’area di Angerburg, con i Russi ormai alle porte della città, autorizzò il rientro in Italia del Battaglione italiano.

Rientro in Italia
Il viaggio di ritorno durò quasi un mese sempre a causa dei continui bombardamenti del nemico; una volta in Italia i reparti vennero dislocati a Lumezzane in provincia di Brescia, dove rimasero per circa due mesi. Venne ripresa l’attività anti-partigiana.
All’inizio di aprile giunse l’ordine di trasferimento nel Veneto; il comando del Battaglione venne posto a Vittorio Veneto. Il Comando della GNR volle rinforzare l’area, alfine di mantenere il controllo delle importanti linee di comunicazione con l’Austria. I reparti del IX Settembre furono impegnati contro i partigiani comunisti della banda Nannetti, nella sorveglianza delle centrali elettriche e nel presidio di varie località. Con l’approssimarsi della fine delle ostilità, la maggior parte dei reparti del Battaglione (circa 200 uomini) tentò di seguire la ritirata tedesca verso l’Austria, finendo bloccati dalle formazioni partigiane imbaldanzite dall’ingresso degli alleati nel nord Italia. I legionari che si consegnarono ai partigiani finirono orrendamente trucidati; i legionari rinchiusi nella caserma Gotti di Vittorio Veneto, circa 150, furono passati tutti per le armi. Alla fine, solo una decina di superstiti del Battaglione, rifiutandosi di consegnare le armi, proseguì la ritirata attraverso i monti riuscendo così a sfuggire alla mattanza partigiana.

Massimiliano Afiero (c) 2004