SOL INVICTUS: IL NATALE E IL SOLSTIZIO D’INVERNO

La festività del Natale non nacque con Gesù Cristo, ma molto tempo dopo la sua morte. La Chiesa cristiana dei primi due secoli d.C. non ha mai celebrato una festa dedicata alla natività di Gesù. L’origine della celebrazione del Natale è occidentale, e comparve la prima volta a Roma intorno al 330 d.C. Sull’origine della data, il 25 dicembre, sembra sia stata scelta per contrapporla a un’altra festività di origine pagana che si celebrava nello stesso giorno: la festa del Solstizio d’inverno, lo Yule, che i pagani del IV secolo festeggiavano ancora. La nascita di Gesù, «sole di giustizia» e «luce del mondo» come egli stesso si definisce nel Vangelo di Giovanni, avrebbe così avuto la funzione di oscurare la festività pagana. Come in effetti fu: il Cristianesimo contagiò con la festività del 25 dicembre anche l’Oriente. Simbolicamente lo Yule è il giorno della rinascita del sole, e in molte religioni di origine mediterranea e non europea la divinità principale è nata proprio in quel periodo. Un dato di fatto, questo, che dovrebbe indurre molte persone al pensiero critico. I compleanni di Dioniso, Mitra, e Gesù vengono infatti celebrati il 25 dicembre, la vecchia data del Solstizio d’inverno, e sono tutti associati a concetti di rinascita e vita eterna. Lo stesso termine Yule (l’anglosassone Géola) significa «giogo dell’anno», vale a dire il punto d’equilibrio esistente oltre il declino della luce del sole. Il nome Yule è quello della divinità suprema. Poiché il giogo è l’asta di misurazione del Paese e della Nazione in virtù dell’autorità della legge, ed è in possesso di ogni capo famiglia sotto il bersaglio del signore del territorio, allora Dio è l’asta di misurazione di tutta la verità, giustizia e bontà. Di conseguenza, lui è il giogo su tutti, tutti sono sotto di lui, e sia maledetto chi oserà violarlo. L’emblema tradizionale dello Yule è un recinto che contiene dei puntini, che simboleggiano il seme nella terra, o delle persone al riparo nel cerchio delle 24 rune, ed è segnato dalla runa Jer, che significa «stagione » o «completamento».

L’ALBERO DI NATALE

L’albero di Natale non ha un collegamento religioso con la natività. Nacque a Riga, un tempo Germania, oggi Lettonia, nel 1510 circa e da lì si diffuse in tutto il mondo (in Italia solo dopo il secondo dopoguerra). Una targa nella piazza del municipio della città scritta in otto lingue celebra ancora l’avvenimento. Prima di questa apparizione ufficiale, in occasione del 24 dicembre, a Riga le piazze e le chiese venivano riempite di alberi da frutta e simboli dell’abbondanza per ricreare l’immagine del Paradiso. Poi si cominciò a sostituire il tutto con gli abeti, i quali avevano una profonda valenza «magica» per il popolo, anche per la leggenda che quest’albero fosse il posto in cui venivano posati i bambini portati dalla cicogna. E proprio il susseguirsi delle leggende sulla decorazione dell’abete è una vicenda affascinante, che coinvolge intere generazioni di popolazioni, da quelle più a nord a quelle più a sud della nostra Europa. La più suggestiva racconta che in una fredda notte di Natale, un povero boscaiolo stava tornando a casa. All’improvviso si fermò, incantato da uno spettacolo meraviglioso: tantissime stelle brillavano attraverso i rami di un abete carico di neve. Per spiegare alla moglie quello che aveva visto, il boscaiolo tagliò un abete, lo portò a casa e lo ornò di candeline e di festoni, per riprodurre le stelle e la neve. Come già detto, il Natale si celebra nei giorni in cui prima dell’avvento del Cristianesimo si festeggiava il Solstizio d’inverno, Dies Solis invicti, il giorno in cui il sole avrebbe ripreso a salire, vincitore delle tenebre, dandoci giornate più lunghe. Ormai si è un po’ sfumato il significato di albero come emblema di natura che si rinnova, mentre è più evidente quello di «centro di vita» familiare, di occasione di incontro fra tutti i familiari. Ora il rito è quello consumistico, il rito dei regali per tutti, grandi e piccini. Comunque tradizione pagana, che richiama il vaso sacro di antico retaggio sumero e babilonese. Il vaso inteso come grembo della vita: nell’antica simbologia è proprio da qui che si materializza ogni forma di vita.

Giuseppe Vassalli

Tratto da Avanguardia, periodico dell'Associazione Combattenti 29a Div.Granatieri Waffen SS, Anno II numero 8, dicembre 2014

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